Palazzo Barracco di Altilia (ex Monastero della Calabromaria)
Fondata nel XII secolo, nella frazione di Altilia, il Monastero della Madonna della Calabria divenne il principale santuario mariano della Calabria. Inizialmente sostenuto dai Normanni, il monastero fu posto sotto la protezione diretta dell’imperatore Federico II di Svevia. Secondo i documenti di Ferdinando Ughelli, nel maggio 1099, Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, confermò al vescovo Policronio il possesso del monastero di Calabromaria. Ruggero II confermò nuovamente il possesso al vescovo a Santa Severina il 1° giugno 1115.
Tra la metà del Cinquecento e gli inizi del Seicento, il Monastero fu gestito dagli abati commendatari della famiglia Barracco. Tiberio Barracco, in particolare, si adoperò per la preservazione dei documenti storici del monastero, facendoli trascrivere nel 1581. Una copia di questi manoscritti è conservata presso l’Archivio storico di Napoli. All’inizio del XIX secolo, il monastero fu trasformato in un palazzo baronale appartenente ai Barracco. Oggi, l’edificio è in parte di proprietà comunale e in parte occupato da abitazioni private.
Nel 2010, ricerche archeologiche hanno rivelato il degrado e la trasformazione di alcune cavità artificiali sul fronte della scarpata antistante il Palazzo Barracco. I materiali rinvenuti risalgono al XIX secolo, suggerendo che la costruzione del palazzo baronale ha compromesso la conservazione delle aree circostanti.
Attualmente è la sede del Multilia, un museo multimediale con cinque stanze tematiche sulla storia del territorio, sia culturale che ambientale.
La Villa del Palazzo Barracco di Altilia
Situata nella frazione di Santa Severina, la Villa del Palazzo Barracco vanta una storia affascinante che risale al XVI secolo. Originariamente un giardino adiacente al convento dei cistercensi di Santa Maria di Altilia, questo spazio verde si estende oggi per oltre ventimila metri quadrati ed è adiacente all’attuale Palazzo Barracco, che in passato era parte del monastero di Calabromaria.
La villa è strutturata a terrazzi su sei livelli, collegati tra loro da eleganti gradinate. Tra le caratteristiche più distintive del giardino ci sono i numerosi pini domestici (Pinus pinea), che possono raggiungere i trenta metri di altezza e avere tronchi con circonferenze superiori ai duecentocinquanta centimetri. La pineta di Altilia, piantata alla fine del XIX secolo dal barone Barracco, è particolarmente notevole per la sua posizione nell’entroterra a 316 metri di altitudine, una quota insolita per questo tipo di piante.
Accanto ai pini, la villa ospita una varietà di altre specie arboree, tra cui abeti, cipressi, salici, palme e lecci, che arricchiscono ulteriormente il suo patrimonio verde.
Il Sito Archeologico – La Storia.
Ci troviamo nella frazione di Altilia, nel comune di Santa Severina, in provincia di Crotone. Tutta la zona interessata dai rinvenimenti archeologici si collocano nella località chiamata Serre. Con questo termine si indicano i contrafforti, le alture, ed è un toponimo ben documentato e presente in Calabria. Posto ad un’altezza compresa tra 425 e 435 metri sul livello del mare, il sito si trova in una posizione geografica particolarmente strategica perché domina da Sud la valle del fiume Neto, là dove confluisce il fiume Lese e nei pressi di una importante via di collegamento che metteva in contatto il mare Ionio ed il mar Tirreno e, quindi, le popolazioni che abitavano le due coste.
Il sito archeologico – I commerci.
Lungo questa direttrice (percorso) transitavano merci di considerevole qualità economica, ad esempio il legname, la pece, il bestiame ma anche metalli come il rame, il ferro e l’argento. La pece è una resina che veniva utilizzata in medicina, nella cosmesi e per impermeabilizzare le anfore. Un prodotto molto ricercato nel mondo antico era il sale che si estraeva proprio in questa zona. Veniva da sempre apprezzato dalle popolazioni poiché serviva per conservare gli alimenti e nelle miniere di Altilia, fino all’età Borbonica, si estraeva questo prezioso bene.Il sito archeologico – La popolazione.
Le Serre di Altilia negli ultimi 50 anni hanno attirato l’attenzione degli studiosi poiché, sulla base delle ricerche di superficie, sono emersi importanti indizi riconducibili al popolamento antico dell’area da parte dei Brettii. Questa popolazione, era originariamente collegata ai Lucani; per loro praticavano la pastorizia ed erano per questo considerati servi pastori. Successivamente si resero autonomi, e designarono loro capitale Cosenza. Abitualmente si insediavano nei territori più facilmente difendibili, ricchi di risorse in posizione dominante e lungo le vie di comunicazione presso i corsi d’acqua e vicini alle montagne svilupparono un’economia basata sull’allevamento, la pastorizia e soprattutto la raccolta e la commercializzazione della pece, ricavata dalle foreste silane. Gli archeologi pensano che qui, nelle Serre, si trovasse un importante insediamento, del tipo a nuclei sparsi e relativo a questo popolo.Un problema per quanto riguarda l’etnos del popolo dei Brettii, è determinato dalla difficoltà di distinguere la loro cultura materiale rispetto a quella delle popolazioni vissute nello stesso periodo. Gli studiosi infatti hanno notato che esiste scarsa differenza tra i reperti/materiali rinvenuti in contesti italici e quelli magno greci. Sicuramente era loro abitudine, (dei Brettii), acquistare o imitare la forma dei vasi, dei grandi contenitori per la conservazione degli alimenti, delle armi e ornamenti personali dalle popolazioni greche che vivevano lungo le coste dell’antica Calabria. Questo significa che c’era stata una assimilazione e sovrapposizione della cultura greca da parte dei Brettii, in alcuni casi piuttosto evidente. Quando i Romani arrivarono in Calabria i Brettii erano organizzati in una confederazione etnica composta da diversi popoli.
Le scoperte archeologiche
Le Serre di Altilia negli ultimi 50 anni hanno attirato l’attenzione degli studiosi poiché, sulla base delle ricerche di superficie, sono emersi importanti indizi riconducibili al popolamento antico dell’area da parte dei Brettii. Questa popolazione, era originariamente collegata ai Lucani; per loro praticavano la pastorizia ed erano per questo considerati servi pastori. Successivamente si resero autonomi, e designarono loro capitale Cosenza. Abitualmente si insediavano nei territori più facilmente difendibili, ricchi di risorse in posizione dominante e lungo le vie di comunicazione presso i corsi d’acqua e vicini alle montagne svilupparono un’economia basata sull’allevamento, la pastorizia e soprattutto la raccolta e la commercializzazione della pece, ricavata dalle foreste silane. Gli archeologi pensano che qui, nelle Serre, si trovasse un importante insediamento, del tipo a nuclei sparsi e relativo a questo popolo.La struttura abitativa.
I resti della struttura qui visibili, anche se schematici e apparentemente incomprensibili, possono essere interpretati come relativi ad ambienti che facevano parte di una fattoria di cui rimangono due ambienti, orientati E-W, ed un altro locale stretto posto immediatamente alle spalle di essi, grazie al confronto con situazioni analoghe. Quindi si pensa che i muri qui presenti, oggi sapientemente restaurati, facevano parte di una fattoria che, a sua volta si inseriva nel più vasto insediamento localizzato qui nella collinetta delle Serre.L’edificio fattoria
Il confronto, poi, con situazioni simili, come dicevamo prima, ci consente di paragonare tra di loro sia i reperti che le tecniche costruttive usate dai Brettii in altri luoghi. Abbiamo già segnalato le tecniche di costruzione che sono più o meno simili tra di loro in altri siti. E anche la planimetria delle fattorie è in generale molto affine tra di loro. Vi erano stanze con destinazione residenziale e ambienti di servizio destinati al lavoro ovvero magazzini, locali per custodire attrezzatura da lavoro e stalle per il ricovero degli animali. Anche le stoviglie utilizzate nelle abitazioni sono in parte riconducibili alle attività domestiche quotidiane come ad esempio la cottura dei cibi, la conservazione delle derrate alimentari, soprattutto cereali, frutta secca, che venivano immagazzinate in grossi contenitori chiamati pithoi e di cui si rinvengono molti frammenti durante gli scavi – che interrati nel pavimento mantenevano integri e ben conservati gli alimenti. Ma erano anche in uso servizi da tavola di fattura più raffinata, costituiti da coppe, piatti, tazze per bere usati per le occasioni speciali.Le attività produttive
Una importante attività documentata nelle fattorie, riguarda la tessitura che deriva dalle pratiche della pastorizia e l’allevamento molto in uso presso i Brettii. I pesi da telaio, oggetti dalla forma troncopiramidale con un foro passante nella parte alta, dimostrano che le donne erano dedite alla pratica della tessitura ed usavano telai verticali; i piccoli pesi servivano a mantenere ben tesa la trama per fare scivolare agevolmente la navetta.Le sepolture
Intorno alle fattorie era consuetudine collocare le sepolture degli abitanti, bambini, giovani e adulti. Alcune volte le tombe, sembrano essere state riunite per gruppi familiari e grazie ai corredi che erano soliti collocare all’interno è possibile anche acquisire interessanti informazioni sui rituali praticati, sugli oggetti che tradizionalmente accompagnavano i defunti che erano differenziati a seconda del sesso. Non è inusuale ritrovare nelle tombe maschili oggetti come punte di lancia, giavellotti, cinturoni in bronzo, spesso a ricordare l’attività svolta in vita dall’inumato. Anche per le donne vale la stessa regola e, quindi, pesi da telaio oppure articoli legati alla cosmesi e ornamenti personali come fibule, anelli connotano appunto il personaggio femminile lì seppellito. Infine, per i più piccini, nel corredo, sono stati documentati riproduzioni di contenitori rimpiccioliti, animali in terracotta.Le ricerche archeologiche
Le ricerche effettuate dagli archeologi anche in altri luoghi della Calabria, ci aiutano a capire come vivevano queste popolazioni che praticavano l’agricoltura, la pastorizia, l’allevamento e producevano dei beni derivati da queste attività. Per la costruzione di questi ambienti, sono state utilizzate pietre di medie dimensioni e spezzoni di tegole messi insieme a secco, senza alcun legante. Gli scavi archeologici praticati tra il 2006-2008 datano il complesso al IV-III sec. a.C.