Sacra Conversione

La sacra conversazione della Cattedrale di Santa Severina

All’interno della Cattedrale di Santa Anastasia, nel borgo di Santa Severina (KR), è conservato nella navata sinistra l’unico affresco che documenta la decorazione della chiesa tra i secoli XVI e XVII. Probabilmente in quel periodo, erano stati realizzati dodici altarini di ius patronatus da un lato e altri dodici dall’altro , dedicati a vari santi in base alla preferenza di alcune famiglie nobili che reggevano e curavano la custodia di queste come beneficio ecclesiastico. L’affresco (Fig. 1) in questione presenta la Madonna seduta su in trono, prefigurante la Chiesa, che sorregge sulla gamba destra Gesù Bambino benedicente e reggente il globo simbolico. La Madre e il Figlio sono avvolti da nubi che discendono fin sopra i tetti della chiesa lasciando visibile il campanile posto alla loro sinistra. Ai lati in primo piano, divisi da una cartiglio ovaleggiante privo d’iscrizione sono raffigurati, a sinistra San Francesco di Paola († 1416-1507) e a destra l’Abate Gioacchino da Fiore († 1130-1202). L’opera, ampiamente rimaneggiata, la quale sembra realizzata tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII, è riferibile ad un ignoto pittore di scuola calabrese. Giuseppina Mari suggerisce che l’affresco appartiene ad uno dei pittori della famiglia La Rosa di Squillace , forse con un riferimento all’affresco raffigurante San Giovanni Theristis (fig. 2), situato nel catino absidale del monastero omonimo di Bivongi. Questa figurazione della Vergine (fig. 3) è stata identificata nella cosiddetta “Madonna delle Calabrie” o “Calabromaria” (figg. 4-5) con un chiaro riferimento all’ex monastero situato ad Altilia di Santa Severina , ex Palazzo Barracco, iconografia insolita nel panorama delle immagini relative alla sfera ecclesiastica dell’Italia meridionale . Sebbene, si potrebbe pensare anche ad una ispirazione artistica, rivolta alla Madonna della Candelora, in cui la Vergine tiene sulla coscia, Gesù che sorregge il globo, riconosciuta in molte opere sia pittoriche che scultoree. Tra le più famose si annovera la tavola quattrocentesca di Michelino da Besozzo conservata al museo del Duomo di Milano (fig. 5), la statua del XVI secolo di Antonello Gagini della Diocesi di Messina (fig. 6) oppure la scultura lignea seicentesca della Chiesa di San Sebastiano di Amatrice di scuola abruzzese (fig. 7). È solo una riflessione relativa a confronti iconografici che avrebbe bisogna di una maggiore e più puntuale analisi.
San Francesco di Paola (fig. 8), appoggiato con entrambe le mani al suo bastone indossa il consueto saio stretto alla vita da un cordone nero a cui è allacciato il portaocchiali e la collana del Rosario. Il volto stanco e gli occhi pensierosi sono accompagnati da una fluente barba bianca e un cappuccio sul capo, attorniato da una semplice aureola lineare. San Francesco , patrono della Calabria, noto e venerato in tutto il mondo, tra i due santi rappresentati nell’affresco è raffigurato con una iconografia nota e inappuntabile. A destra, vi è raffigurato un santo abate anziano barbuto e aureolato, che indossa una semplice tunica bianca. Con la mano destra si appoggia ad un pastorale dotato di bacolo a doppio riccio, decorato con un fiore stilizzato, nella mano sinistra tiene tra le dita un libro aperto con la copertina rivolta verso lo spettatore. In basso, appoggiata sul cartiglio sopracitato, è identificata una mitria abbaziale che insieme al pastorale rimarca pari dignità a quella vescovile .
La maggior parte degli studiosi riconoscono nella figura di questo santo, l’abate Gioacchino da Fiore, venerato come beato dai florensi e dai gesuiti bollantisti, al tempo corrente è ufficialmente in atto la causa di beatificazione promossa dall’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano. Nell’immagine della cattedrale di Santa Severina (fig. 9), l’abate Gioacchino è rappresentato aureolato. È difficile al momento stabilire se l’aureola sia stata aggiunta successivamente alla prima realizzazione dell’affresco, anche se si notano alcune incertezze, che potrebbero essere ritocchi, rispetto alla precisione delle aureola di San Francesco e della Madonna. Il Sommo Dante, conoscendo opere e legenda agiografica dell’abate Gioacchino, non ha dubbi ad assegnargli un posto in Paradiso, citandolo nel XII canto per bocca di San Bonaventura da Bagnoreggio.
Una caratteristica fondamentale, infatti, per riconoscere la figura dell’abate florense è la decorazione del pastorale a forma di fiore , particolare noto nell’immagine che era sul cenotafio riprodotta da Giacomo Greco nel 1612 (fig. 14). Come noto, l’abate Gioacchino in altre opere precedenti viene raffigurato con l’aureola (figg. 11-12-14), essendo considerato un vero e proprio santo beato, anche perché già la frase “di spirito profetico dotato” proveniva, da un’antifona dei vespri che i florensi cantavano o recitavano in onore del loro fondatore; e ciò presuppone un culto vero e proprio, con una sua festa e un suo uffizio. Questa legenda dell’abate Gioacchino è sorta quando ancora era vivente e accorrevano a lui folle di poveri, ammalati, derelitti, in un clima di miseria, sofferenza e fame nel quale s’intravedevano facilmente comportamenti o eventi prodigiosi, ognuno dei quali veniva fu definito admirabile. Questa legenda agiografica era già scritta ai tempi di fra’ Salimbene da Parma, il quale nella sua Cronica parla della santità della vita di Gioacchino e fa riferimento alla legenda stessa, testimoniandone il carattere di opera scritta. D’altronde Gioacchino veniva chiamato col titolo di santo non solo oralmente dai suoi seguaci e ammiratori, ma anche per iscritto in certe copie di sue opere . Da ciò non si esclude, che la Sacra Conversazione di Santa Severina raffiguri insieme alla già nota Madonna della Calabria, due importantissimi fondatori di ordini religiosi calabresi: l’Abate Gioacchino da Fiore con l’Ordine Florense e San Francesco di Paola con la successiva istituzione dell’Ordine dei minimi. D’altronde i due monaci dipinti nella Cattedrale dell’arcidiocesi di Santa Severina, sono certamente tra i più importanti Religiosi calabresi nella storia della Chiesa, e l’affresco potrebbe essere anche un come omaggio a due edifici ecclesiastici vicini: il monastero di Santa Maria di Altilia che fu dei florensi dal 1215 al 1570 e il convento di San Francesco a Roccabernarda fondato nel 1539 dagli stessi minimi di Paola.
Altre ipotesi vagliate nell’attribuzione del santo abate sopracitato, sono state: San Zaccaria Papa († 679-752), San Bruno di Colonia († 1030-1101) e San Bernardo di Chiaravalle († 1090-1053). Va detto però, che la proposta di Papa Zaccaria è abbastanza improbabile, in quanto il santo non indossa abiti papali e il copricaco individuato per terra non è la tiara a forma di ogiva sul quale venivano applicate le tre corone. San Bernardo (figg. 15-16), ha una iconografia simile a quella dell’abate di Fiore, santo medievale vicino all’Ordine dei Templari, è alcune volte raffigurato insieme alla Vergine con la mitria non indossata in segno di umiltà e il pastorale. Stessa cosa può dirsi per San Bruno (fig. 17), sebbene il Certosino è rappresentato di sovente calvo e sbarbato con il libro e la croce, in alcuni casi anche con la mitria per terra , legata al rifiuto di diventare arcivescovo di Reggio Calabria preferendo l’ideale eremitico, fondando la famosa Certosa nei boschi di Serra San Bruno. Dal XVI secolo fino al XIX, la Calabria (Fig. 12) era divisa in due macro provincie: Calabria Citra e Calabria Ultra, divise dal fiume Neto , corso d’acqua naturale che nasce dai monti della Sila e sfocia nel Mar Jonio passando anche dal territorio di Santa Severina, la quale si colloca geograficamente su entrambe “le Calabrie”. Quindi, al momento non si può escludere che la sacra conversazione in esame, possa rappresentare la cosiddetta Calabromaria che dialoga con San Francesco di Paola della giurisdizione della Calabria Citra e San Bruno di Colonia della potestà territoriale della Calabria Ultra, figure che unirebbero nel dipinto, l’essenza religiosa del territorio calabrese. A tal riguardo si riporta un breve passo dell’antropologo Vito Teti del suo libro Terra inquieta:
‹‹…E possiamo ricordare figure come quelle di Cassiodoro, i tanti santi italo-greci, e ancora San Bruno di Colonia e San Francesco di Paola che hanno plasmato la spiritualità, la devozione, la cultura delle popolazioni e le cui vicende non sono certo confinabili in uno spazio locale e regionale…›› .
L’opera, per diversi spunti che propone, è meritevole di studi documentali e materiali più approfonditi per provare a stringere il cerchio sull’epoca di realizzazione, sull’autore e sul riconoscimento del santo Abate. L’affresco si presenta infatti, molto manomesso con ridipinture di diversi periodi e ritocchi evidenti. Oltre le necessarie ricerche d’archivio, interessante e opportuna sarebbe condurre anche una campagna d’indagini scientifiche, fisico-chimiche approfondite a tutto campo, condotte sui materiali, sui pigmenti, nonché la scansione dell’affresco con spettrometri a diverse frequenze, per individuare e distinguere le parti originali e le parti rifatte, le aggiunte, le soppressioni, ecc. Insieme ad altre attività di studio mirate alla comprensione dell’opera, al restauro e a una migliore fruizione della stessa, attraverso l’installazione, alla fine, di un’adeguata illuminazione artificiale e l’allestimento di pannelli esplicativi.

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